Opificio delle pietre dure di Firenze – 12 maggio 2011
Progetto di ricostruzione tramite tecniche di reverse engineering e rapid prototyping, della scultura del San Giovannino da Ubeda. Distrutta durante la guerra di successione spagnola, dell’opera attribuita a Michelangelo ne erano rimasti solo 17 frammenti originali. Le prototipazioni post scansione e modellazione tattile, sono state realizzate con grande professionalità da UNOCAD per l’Opificio delle Pietre Dure.
Verso la fine del 1994 sono arrivati all’Opificio delle Pietre Dure diciassette frammenti marmorei appartenenti a quella che fino al 26 luglio 1936 era stata la statua del San Giovannino di Úbeda, ritenuta nel 1930 da Manuel Gómez Moreno a Michelangelo. Più di recente l’attribuzione è stata ripresa e sostenuta da Francesco Caglioti sulla base di nuovi studi, anche di carattere stilistico, iconografico e documentario. Quella data del 26 luglio 1936, infatti, segna la fine dell’integrità della scultura, collocata nella nicchia a sinistra sopra l’altare della Cappella del Salvatore a Úbeda in Spagna: quel giorno la statua fu profondamente danneggiata dalla furia iconoclasta dei Repubblicani, durante la Guerra Civile spagnola, insieme alle altre sculture sovrastanti l’altare, fatta eccezione per quella del Salvatore, nel retablo di Alonso Berruguete, più in alto e, quindi, inaccessibile. Dopo gli accordi opportunamente presi tra il Duca di Segorbe, proprietario della Cappella e l’allora soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, Giorgio Bonsanti, i frammenti sono stati trasferiti a Firenze e da quel momento si sono susseguiti ipotesi di montaggio e varie progettualità. A questo proposito corre l’obbligo ricordare il piano messo a punto da Annamaria Giusti nel 2000 con Giorgio Accardo, direttore del Laboratorio di Fisica e controlli ambientali dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, con le tecniche digitali 3D, ma che mancando del supporto imprescindibile di una completa ricognizione fotografica, produsse un modello molto lontano dal vero, in scala 1:4. Solo nel 2011 il lavoro ha cominciato a decollare grazie a Francesco Caglioti che ha contemperato, in maniera assolutamente esemplare, gli interessi di anni di studio approfondito su questa scultura con le necessità conservative, affidandoci tutte le foto rinvenute in grande parte nella fototeca del Kunsthistorisches Institut e grazie al rapporto già stabilito, l’anno precedente, con la ditta UNOCAD di Altavilla Vicentina. Dopo il rilievo dei frammenti, da cui ne sono stati opportunamente estrapolati tre, evidentemente erratici, e la realizzazione del 3D, si è passati alla fase della prototipazione in nylon e vetro. Premesso che era necessario, sulla base delle scelte metodologiche concordate dal consiglio scientifico (Marco Ciatti, Giorgio Bonsanti, Francesco Caglioti, Cecilia Frosinini, Maria Cristina Improta) che le parti contemporanee aggiunte, fossero assolutamente riconoscibili e ritrattabili, il materiale delle prototipazioni doveva essere inerte, sia da un punto fisico che chimico, rispetto al marmo. Il punto di maggior difficoltà nel montaggio era rappresentato dal bacino (ca. 50 kg.) che ha comportato la realizzazione di una complessa struttura di metallo con una piastra d’acciaio. Le prototipazioni, realizzate con grande professionalità dalla UNOCAD, sono state montate con l’uso di magneti, in modo da garantire in qualsiasi momento un rapido smontaggio. Le stesse sono state rilavorate con la polyfilla, un gesso sintetico, su cui successivamente sono state eseguite delle patinature, per ammorbidire e abbassare il contrasto tra integrazioni e parti originali. La testa del Santo, il più rappresentato nella storia dell’arte occidentale, è quella che maggiormente allude, nelle carbonizzazioni del frammento con gli occhi fortunatamente intatti, agli orrori di quella giornata d’estate del 1936. Le vistose tracce di fuoco sono state abbassate dopo la pulitura con un controllatissimo laser: invece non si è potuto far niente per il modellato, molto penalizzato, dei capelli. Il gesto magistralmente risolto della ciotola sotto l’ascella che nel momento della presa determina lo spostamento del muscolo del braccio del Santo fanciullo è una straordinaria prova di conoscenza anatomica, degna di un grandissimo scultore. La scelta invece di non riproporre il dito indice della mano destra, verosimilmente puntato verso il cartiglio del piccolo Profeta per sollecitare l’attenzione del osservatore, è stata dettata dal fatto che il dito che appare nella documentazione fotografica non era quello originale, ma reinventato: sarebbe stato quindi criticabile riproporre un indice di pura fantasia. Dal 24 giugno scorso Il San Giovannino è stato esposto nel Museo dell’Opificio delle Pietre Dure fino a novembre 2013. Successivamente è stato allestito a palazzo Grimani a Venezia. Il viaggio di rientro della scultura in Spagna avverrà verosimilmente alla fine di febbraio 2014: la movimentazione sarà attuata, come quella precedente, con una cassa opportunamente studiata e con l’indispensabile complemento di un guscio in polistirene realizzato sempre grazie alla raffinata esperienza e alla sensibilità di Ivano Ambrosini.
Cristina Improta Direttore Settore Restauro dei Materiali Lapidei dell’Opificio delle Pietre Dure
IL MISTERO QUASI SVELATO DEL SAN GIOVANNINO E IL RESTAURO TECNOLOGICO
di Susanna Benassi
Il San Giovannino è una scultura realizzata da Michelangelo tra il 1495 e il 1496 per Lorenzo Pierfrancesco dei Medici soprannominato il “Popolano”. Questo è l’ unico dato certificato dalle fonti, poiché lo stesso Buonarroti ne fa menzione nella sua Biografia, scritta nel 1553 da Ascanio Condivi. Nel corso dei secoli se ne persero le tracce e si ritenne fosse andata distrutta. Ma come accade spesso nel mondo dell’arte, il ritrovamento di qualche “manufatto artistico” di cui non si conosce l’autore, spinge studiosi ed esperti in un cammino a ritroso alla ricerca delle origini, ed è così che sul palcoscenico delle ipotesi entrarono in scena diversi possibili contendenti al ruolo di protagonista. Tra questi, il San Giovannino conservato nella Cappella di El Salvador di Ubeda in Andalusia, che nel mese di Giugno di quest’anno è stato restaurato presso l’ Opificio delle Pietre Dure di Firenze. La scultura era stata gravemente danneggiata durante la Guerra Civile Spagnola del 1936 e questo ha reso ancora più difficoltosa la “lettura artistica”. Il Professore Francesco Caglioti (Università Federico II di Napoli) eminente esperto di storia dell’arte rinascimentale, è fermamente convinto della paternità Michelangiolesca. Ma oltre al mistero “antico” sul nome del suo esecutore, il San Giovannino in questione sarà ricordato per un’ altra particolarità tutta moderna che lo ha portato alla ribalta per poter essere di nuovo ammirato per “intero” : l’uso dell’alta tecnologia in aiuto alla classica tecnica di restauro. Il certosino nonché super tecnologico lavoro di ricomposizione dell’opera è stato affidato alla Ditta Unocad di Altavilla Vicentina (VI). L’Amministratore Delegato, Ivano Ambrosini, pioniere nell’uso di queste applicazioni informatiche in campo artistico, appassionato d’arte e lungimirante imprenditore ce ne descrive dettagliatamente il processo.
Innanzi tutto … ci parli della sua passione per l’arte, da dove nasce e come si sposa con i freddi calcoli informatici?
Ho dedicato trent’anni della mia vita alla meccanica di precisione, lavorando da giovane nelle R&D di importanti aziende leader mondiali di questo settore, ma da dodici anni, ho cambiato decisamente terreno, traendo maggiori soddisfazioni dalla passione per l’arte che sono convinto sia stampata nel mio DNA e probabilmente influenzata dall’ambiente in cui sono vissuto, con un padre scalpellino e uno zio direttore tecnico di un’azienda di scultura proprietaria di cave di pietra di Vicenza. L’arte, la scultura, mi travolgono, mi appagano… poi, l’idea di aver dato un contributo con la mia azienda nel restaurare capolavori come questo che resteranno a futura memoria è per me motivo di grande gioia.
L’ uso della copia nell’arte è molto antico, i romani ne sono stati i pionieri con la consuetudine di riprodurre sculture greche … quali sono i benefici evidenti dell’utilizzo tecnologico in questo campo di applicazione?
Usare tecnologie innovative come il Reverse Engineering ed il Rapid Prototyping o la fresatura robotizzata vuol dire oggi, aiutare l’artista, restauratore o lo scultore a ridurre i tempi di esecuzione dell’opera in quelle fasi di preparazione precedenti la rifinitura. Questo fornisce loro, spazi e conoscenze per migliorare il lavoro d’intervento finale e ricostruire fedelmente le parti mancanti o l’intero di un’opera d’arte, abbassandone i costi pur mantenendo alta la qualità esecutiva.
Lei è un imprenditore affermato che lavora con soddisfazione anche in tempi di crisi, con enti e musei, nella ricostruzione e riproduzione di pezzi unici quindi “delicati”. Ricorderà l’ostilità dell’ambiente dell’artigianato artistico, anche qui in Versilia, nei confronti dell’introduzione tecnologica nel processo manuale … Oggi che i fatti le hanno dato ragione, cosa si sente di consigliare a chi vuole continuare a lavorare nel campo della riproduzione ?
L’ unico consiglio che mi sento di dare, è quello di non sentirsi mai appagati, di continuare a ricercare nuovi mezzi, nuovi prodotti, nuovi materiali, sviluppare nuovi talenti. Non fermarsi di fronte ad un risultato ottenuto, ma spingersi sempre più’ in là, evolversi giorno dopo giorno. Nel Reverse Engineering, la tecnologia che cattura l’oggetto fisico e lo trasforma in virtuale nel computer, abbiamo raggiunto una qualità pari al calco diretto sull’opera, ma senza alcun contatto fisico (oggi, tra l’altro proibito), elemento questo di fondamentale importanza quando i manufatti da riprodurre o da restaurare sono pezzi di incommensurabile valore che non devono rischiare di essere contaminati o peggio, danneggiati.
Parliamo di questo importante restauro … Ci può descrivere in termini semplici l’ iter che avete seguito?
In questo restauro integrativo e reversibile altamente impegnativo, ci siamo serviti di differenti tecnologie, le stesse utilizzate per progettare e realizzare le auto che guidiamo tutti i giorni, l’aereo o la nave che prendiamo per un viaggio di affari o di piacere. Una di queste in particolare, tra le migliori tecnologie sfornate dal MIT di Boston, la FREEFORM MODELING è usata anche per addestrare e allenare i chirurghi in operazioni simulate, senza paziente. Nell’applicazione artistica, questa agisce come una sorta di “scalpellino elettronico” in grado d’interagire sulla materia con il senso del tatto, plasmando la forma al millimetro. Ma il grande risultato finale è stato ottenuto grazie alla capacità dei nostri tecnici che da almeno un decennio utilizzano giornalmente, questi utensili virtuali.
A suo avviso, quale sarebbe stato il risultato, se il restauro fosse avvenuto seguendo la vecchia tecnica manuale?
Credo di poter dire, senza modestia, che non si sarebbe potuto ottenere un risultato simile con tecniche diverse, o di stampo classico. Ci avevano provato per quasi vent’anni sia l’Istituto Superiore di Restauro di Roma che l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, finendo in un nulla di di fatto.. Noi abbiamo accettato la sfida e l’abbiamo vinta in tempi brevi e con costi modesti. Di questo intervento si parlerà a lungo perché fa da apripista ad un nuovo modo di fare restauro.
Perché le parti mancanti non sono state fuse con il resto del corpo?
Nel pieno rispetto delle moderne regole del restauro che si rifanno al concetto di “reversibilità” dei nuovi componenti aggiunti, le parti non sono state fuse. Tutto ciò che viene ricostruito deve necessariamente restare “mobile”, così da permettere di poter visionare l’ originale, anche se acefalo o illeggibile, quando si renda necessario
Cosa l’ha colpita o entusiasmata di più in questo progetto?
L’entusiasmo di aver lavorato su un’opera attribuita a Michelangelo Buonarroti, il più grande scultore mai esistito … L’emozione di essere venuto a contatto con i suoi marmi, per me figlio e nipote di maestri scalpellini è stata indescrivibile!
Quali altri importanti commesse sta seguendo in questo momento?
Attualmente siamo impegnati su più progetti… Dal reintegro del gesso delle Tre Grazie del Canova, al ripristino di parti rubate al bronzo del Duca di Galliera, alla realizzazione di gusci ad alta sicurezza per il trasporto dei gessi di Martini e di un Cristo ligneo di Donatello, alle investigazioni temporali su marmi e dipinti-affreschi nei Musei Vaticani. E … molto altro ancora.